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5 Maggio ‘98- Marco Mattiucci: salvò un bimbo e fu travolto. La sua storia…

Il sacrificio di Marco Mattiucci, vigile del fuoco

Inserisce la marcia, il motore inizia i suoi giri quasi a vuoto; manovre bloccate da una strada diventata impercorribile tra dune di fango e massi con spuntoni. Il Monte Saro rigurgita a valle un altro costone trascinato da acqua e fango che colpisce l’autopompa serbatoio dei pompieri. Alla guida c’è Marco Mattiucci, 30 anni, vigile del fuoco. Rimane imprigionato, le gambe schiacciate dalle lamiere. Per sedici ore il giovane pompiere resta tra l’acciaio ed il fango, come in una morsa. È sveglio quando lo recuperarono il 6 maggio. Lucido e sofferente, le sue condizioni appaiono subito gravissime. Muore dopo sedici giorni di agonia. È l’anno 1998. L’anno della strage del Cermis, 20 persone morte in una funivia con cavi tranciati da un aereo militare. È l’anno di Marco Pantani che vince di Giro d’Italia ed il Tour de France. È l’anno di Sarno, Siano, Quindi e Bracigliano, di 160 morti, di cui 137 solo a Sarno.

Tra le vittime c’è Marco, la professione come missione, alle 20 aveva già finito il suo turno, ma si era fiondato su quei luoghi sferzati dalle colate di fango. Dove finisce il senso del dovere ed inizia lo spirito di sacrificio? Sarno ed i suoi soccorritori sono stati quella linea sottile che unisce le vite.Un sigillo di morte ogni 4 ore: alle 16, poi alle 20 e di nuovo alle 24. Sono le colate di fango più distruttive. È in quel buio di silenzio e crolli che si sigla un patto d’amore tra vittime, sopravvissuti e soccorritori. Marco, medaglia d’oro al valor civile, è nella memoria di Sarno come un suo figlio. La sua foto è su tante tombe delle vittime della frana nel cimitero cittadino.

I racconti

Così per Teresa Vitolo, lo scatto del vigile del fuoco è accanto a quello del figlio Gaetano e del marito Aurelio. «Il dolore di quei giorni di grande smarrimento si è mescolato al sostegno dei soccorritori. Quando è stato ritrovato mio figlio hanno cercato di allontanarmi, mi sono girata e l’ho visto portare via in un sacco celeste. Poco dopo è stato rinvenuto mio marito. Ero distrutta. Per i volontari il nostro dolore era diventato il loro». «Non dimenticherò la delicatezza dei soccorritori quando hanno preso tra le braccia il corpicino di mia figlia, di pochi mesi». Francesco ed una intera famiglia distrutta dal fango. Angelo Raimo ha fatto di Mattiucci un esempio.

«Avevo quattro anni. – racconta – Non ricordo tutto di quei giorni, ma i frammenti che riaffiorano sono indelebili: le urla disperate, l’odore acre del fango. Quel giorno cambiò la mia vita e quella di un intero territorio. Mio padre era un volontario della Protezione Civile “Club Sarrastri”, faceva parte della macchina dei soccorsi. Qualche mese dopo la frana, mi portò al dove era stato allestito il centro operativo misto. Ricordo i vigili del fuoco raccolti in preghiera. Mi avvicinai con timidezza e uno di loro mi raccontò la storia di Marco Mattiucci. In quel momento nacque in me una passione profonda, incrollabile, per il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e per la Protezione Civile. Marco ha dato la vita per salvarne altre. Per me, l’emblema del soccorritore: dedizione, coraggio, altruismo senza condizioni. Ogni volta che sento la sirena di un camion dei Vigili del Fuoco, ogni volta che intervengo come volontario in una situazione di emergenza, il mio pensiero vola a lui. Oggi sono presidente di un’associazione di volontariato. A muovermi è lo stesso spirito che ha guidato Marco. Perché la memoria non è solo ricordo: è azione, è testimonianza. Il sacrificio di Marco non è stato vano, continua a ispirare, a salvare, a vivere».

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